panorama sul lago di Resia con il campanile di Curon

Il Lago di Resia non ha bisogno di presentazioni, meta di turisti attirati dal campanile sommerso ma anche di tanti sportivi

Il simbolo del Lago di Resia è sicuramente il campanile romanico sommerso per metà, che infonde fascino e rende, a tratti, questo luogo inquietante e misterioso. Non a caso Curon Venosta è stato scelto come location di una serie targata Netflix, “Curon”, che ha incuriosito molti fan e li ha spinti a recarsi in visita in Alto Adige.

Il lago di Resia… oltre al suo campanile

Se il campanile è una calamita assoluta per lo sguardo, va precisato che questa zona è ricca di meraviglie naturalistiche e attira visitatori in ogni stagione. In estate è frequente imbattersi nei tanti ciclisti che percorrono la Via Claudia Augusta verso Merano, percorso attutissimo e celebre in tutta Europa. In inverno Belpiano e Malga S. Valentino sono ideali per chi ama sciare e lo stesso lago di Resia ghiacciato è una meta ideale e affascinante per chi pratica surf su ghiaccio e snow kiting.

Curon, tra storia e leggenda

il campanile sommerso di Curon

Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu portata a termine la costruzione di una diga utile alla produzione di energia idroelettrica attraverso la creazione del lago artificiale di Resia, il più grande di tutta la provincia di Bolzano con 120 mln di metri cubi di acqua di capacità. La conseguenza fu l’evacuazione forzata degli abitanti del vecchio centro di Curon, costretti a trasferirsi nell’attuale Curon Venosta. Anche il campanile, che apparteneva ad una chiesetta medievale del 1357, subì la medesima sorte dell’intero paese, finito sott’acqua perché si completasse l’intervento idrogeologico. 

Storia e leggende in un luogo tanto suggestivo non possono che sovrapporsi. La più nota è quella secondo cui le campane dell’antico campanile sommerso continuerebbero a far risuonare i loro rintocchi nonostante non siano più al loro posto. Il loro suono sarebbe udibile in particolare nelle giornate più ventose e d’inverno, quando il lago ghiaccia e permette di arrivare a piedi fino al campanile. Una storia triste che lascia in eredità la bellezza un panorama mozzafiato tinto di malinconia. Nonostante le proteste il paese fu infatti sacrificato e pare che molti anziani siano morti per il dolore dopo averlo visto scomparire lentamente sotto l’acqua. Oggi gli abitanti di Curon convivono con questo ricordo e tentano di riconciliarsi con la poesia di quelle acque che celano la tragedia ancora viva nei racconti di famiglia.

Curon Venosta oggi

Oggi il comune di Curon Venosta è un piccolo centro di poco più di 2.000 abitanti al confine con Austria e Svizzera, tappa interessante considerando che la ciclabile dell’Adige consente piacevoli escursioni in bicicletta lungo la già citata via Claudia Augusta e che dal lago di Resia si arriva fino a Merano. Se il lago d’estate non è l’ideale per il turismo balneare lo è comunque a livello sportivo. Del vecchio paese restano soltanto i racconti degli anziani, mentre la nuova Curon è oggi un centro turistico che a quel vecchio campanile deve comunque gran parte del suo appeal.

trincea con prato verde

Sulle tracce di pastori, migranti e soldati tra antiche scritte e trincee

Lontano dai sentieri più noti e dalle più celebri piste da sci, il Trentino si racconta anche in luoghi insoliti e meno battuti dal turismo di massa. Non è inusuale rintracciare testimonianze incise sulla roccia e opere murarie che si fanno portavoce di storie lontane. Segnaliamo 3 tappe interessanti in cui le tracce sono visibili ed eloquenti e ci rimandano alla vita di 3 figure simbolo del territorio in epoche diverse: pastori, migranti e soldati.

Le scritte rupestri dei pastori

Foto: N. Delvai, APT Val di Fiemme, via visittrentino.info

In Val di Fiemme troviamo un esempio di scritte rupestri realizzate dai pastori che nelle zone attorno ai paesi portavano pecore e capre al pascolo su versanti impervi, ad esempio su quelli del Monte Cornon e delle Pizzancae. Le scritte più antiche risalgono alla seconda metà del Seicento e vanno avanti fino al secolo scorso. Si tratta di scritte ovviamente fatte a mano, spesso con ramoscelli usati come pennelli la cui punta veniva resa morbida tramite la masticazione o veniva battuta con un sasso. Il colore è quello dell’ocra rossa, che veniva mischiata a latte animale o saliva. Il messaggio lasciato era molto semplice, solitamente le iniziali del pastore e il numero di capi portati al pascolo.

Sass de le Parole

sass de la parole
Foto: Federico Monegatti, via visittrentino.info

Una grande pietra apparentemente come tante altre, che reca una serie di scritte. La particolarità del Sass de le Parole è che è porta traccia dei nomi incisi dai migranti in partenza che in questo gesto simbolico riponevano la speranza di tornare a casa. Siamo sull’Altopiano di Piné, tra Bedollo e Brusago. La zona merita almeno una passeggiata, il panorama è bellissimo anche grazie alla presenza della Cròs del Cùc, sempre illuminata, che svetta dall’alto.

Trincee Nagià Grom

tincee del nagià grom
Foto: visittrentino.info

Sono moltissime le zone del Trentino in cui è possibile ripercorrere le gesta dei soldati e sostare in memoria dei caduti durante la Prima Guerra Mondiale. Sul Monte Nagià Grom le vecchie trincee sono la location ideale per immergersi nella vita di chi tentava di sopravvivere all’orrore della guerra e fare ritorno a casa. Momenti duri, quelli in prima linea, che questo luogo permette di comprendere grazie alle tracce ancora presenti, tra cui la cisterna da campo e… il panorama, che oggi delizia lo sguardo ma un tempo era prezioso per i soldati impegnati nell’osservatorio di artiglieria. La visita è possibile grazie al Gruppo Alpini di Mori che si adopera per rendere agibile il percorso. 

Una delle più affascinanti terre del Trentino. Un patrimonio linguistico e culturale unico: i ladini di Fassa

Velluto, pizzo, seta. È con gli abiti migliori che a settembre a Canazei, i ladini della Val di Fassa accolgono gli ospiti alla Gran Festa da d’Istà. La manifestazione celebra la fine dell’estate ed è un vero happening per i ladini che popolano le vallate attorno al massiccio del Sella. Musica folk, piatti tipici… e poi la sfilata della domenica con i “guanc” (vestiti tradizionali) per le vie del paese.

La Val di Fassa si sviluppa per venti chilometri nel cuore delle Dolomiti ed è un concentrato di meraviglie naturali. Da Moena a Canazei si sussegue un tripudio di vette che lascia senza fiato: Catinaccio, Sassolungo, Sella e Marmolada sono solo alcune delle sue cime più famose. Una terra  d’incanto in tutte le stagioni.

teatro alla scala di milano

Un luogo d’eccellenza dove rimanere incantati e rapiti dall’intramontabile valore del patrimonio musicale italiano e internazionale 

La cosmopolita città di Milano, tra innovazione e modernità, ospita un luogo dal fascino intramontabile dove risuona l’alto valore del patrimonio musicale italiano e internazionale: il Teatro alla Scala. Nato per volontà dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, progettato dell’architetto neoclassico Giuseppe Piermarini e inaugurato nel 1778 dall’opera “L’Europa riconosciuta” di Antonio Salieri, il Teatro è stato il luogo d’elezione di nomi del calibro di Gioachino Rossini, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini Arturo Toscanini. Nel corso della sua storia, ha segnato la carriera scaligera di grandi registi, come Franco Zeffirelli e Luchino Visconti; di coreografi e ballerini, come Carla Fracci e Rudolf Nureyev, ma anche di grandi voci tra cui Maria Callas, Plácido Domingo e il “Maestro” Luciano Pavarotti.

foto di Luciano Pavarotti in bianco e nero

La moglie del celebre tenore Luciano Pavarotti racconta l’eredità artistica, ma soprattutto umana di quest’uomo straordinario che ha raggiunto un successo planetario senza precedenti

Nella realizzazione della Fondazione Pavarotti, possiamo intravedere un atto di riconoscenza o un dono d’amore per ricordare e tramandare un messaggio che lui stesso avrebbe voluto per i giovani?

Credo entrambe le cose. Riconoscenza per tutto ciò che Luciano ha fatto nel corso della sua lunga carriera coniugato al desiderio di poter continuare la sua opera, di continuare ciò che egli avrebbe voluto fare se non fosse stato fermato dalla malattia. Luciano amava sinceramente i giovani, sentiva quasi il dovere di dover condividere con loro la sua passione ed esperienza. Si sentiva profondamente grato del dono che aveva ricevuto, la voce, e poter lavorare con i giovani era il suo modo per restituire qualcosa. Ci fa piacere pensare che, ogni volta che la Fondazione porta sul palcoscenico un nuovo cantante, Luciano da lassù gli regali uno dei suoi meravigliosi sorrisi.